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      RISTORANTE ENRICO BARTOLINI | MILANO

      • ANNO: 2022

      Arte e gusto nel ristorante tre stelle Michelin di Enrico Bartolini al MUDEC.

      Baxter crea un’oasi di convivialità contemporanea dal sapore classico per esperienze gastronomiche indimenticabili.

       

      Arte e palato, binomio che accende i sensi. Il solo evocarli, mette in moto un serie di processi dello spirito e della materia che, su ciascuno, agisce in modo unico. Insieme, questi due mondi in apparenza così distanti rivelano molto della personalità di chi ci si accosta: percezione estetica, approccio ai sapori e alla loro diversità, che è nella ricchezza semantica degli ingredienti di ogni popolo.

      A Milano si incontrano nelle tre stelle Michelin del ristorante Enrico Bartolini, all’interno del museo MUDEC. Esposizione che la città dedica alle culture extraeuropee, con l’inaugurazione della sua sede nel 2015 ha scritto una pagina importantissima del nuovo volto del quartiere del design, Tortona. La sua struttura, giocata in un equilibrio di sinusoidi e geometrie regolari, di vetro e cemento tradotti in luce diffusa e trattenuta, è insieme attraente e straniante. Qui Baxter, interpretando la volontà di dare il calore degli spazi classici, familiari, a un ambiente estremamente contemporaneo, ha creato da subito un’oasi di convivialità che oggi ha una veste rinnovata.

      Già al primo passo, nel salotto d’ingresso, sentiamo l’intimità dell’accoglienza che Enrico Bartolini e la sua brigata vogliono riservarci. L’alternarsi di librerie, divani, poltrone e tavolini, dà l’immediata sensazione di trovarsi in una casa conosciuta a fondo. Il legno, le pelli morbidissime, il cuoio, sono un abbraccio e, nelle loro tonalità calde esaltano il segno di un’eleganza senza tempo. È il savoir-faire declinato nelle soluzioni componibili di Libelle o nelle linee avvolgenti di Belt; la ricerca dell’inconsueto architettonico dei tavolini Jove. A strapparci un sorriso, preludio di quell’ironia che troveremo nei piatti messi a punto dall’ingegno del nostro chef, l’installazione luminosa “one day I’m gonna make the onions cry”: intuiamo che l’esperienza gastronomica che stiamo per concederci sarà indimenticabile.

      Il carattere più formale della sala interna, dato dalla boiserie, dai contrasti cromatici giocati su una palette più fredda, orientata verso le sfumature dell’avio e del mirtillo, e da una scansione ampia e regolare delle sedute, le leggerissime Gemma, è lo specchio di un’indicazione precisa. A Bartolini piace che la tavola dove si mangia abbia la sua “uniforme”, la tovaglia stirata, il tovagliolo adatto; l’importante, dice, è non fermarsi alle imposizioni del galateo, “ben venga la scarpetta, quando è fatta di gusto, perché mette l’ospite in confidenza con me e con il luogo”. E subito, dai riferimenti alle pareti, uno pittorico e due fotografici, ci accorgiamo che anche nel rigore c’è posto per una distrazione: a spezzarne la severità, infatti, vediamo il ritratto di una giovane donna a pennellate pop, posa graziosamente scomposta di chi sta chiacchierando; poi uno scatto della Pietà Rondanini, richiamo al canone e alla sua messa in discussione, e uno di una gipsoteca in allestimento, come se fossero quei giganti di pietra ad aver deciso, autonomi, di traslocare.

      Nel patio, una foresta tropicale in cui si fanno strada i profumi del mediterraneo, invito alla scoperta sensoriale, l’atmosfera è rilassata. La collezione outdoor, con i pezzi in iroko di Himba e Hakuna Matata e le texture a mano piacevolmente ruvida, naturale, dei tessili a contrasto con le laccature di Dharma, enfatizza l’eclettismo che è alla base di questo scambio vitale e stimolante tra Enrico Bartolini e Baxter.

       

      Ph. Fabrizio Cicconi

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